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Nexi, GIC vende le azioni e appesantisce il titolo, ma i problemi sono tanti

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
7 min

Il 2,5% del capitale è stato venduto a sconto e pesa sul prezzo delle azioni, ma le perdite in Borsa sono di lungo periodo e c'è una crisi globale del settore mentre cresce la concorrenza. Così i piccoli investitori continuano a perdere in Borsa in attesa di operazioni straordinarie. Ecco cosa succede

Nexi, GIC vende le azioni e appesantisce il titolo, ma i problemi sono tanti

Un brutto periodo per Nexi, non c’è che dire. L’azione ha perso in 25 sedute più di un quinto del proprio valore di Borsa ed è molto concreto il rischio di un ritorno sui minimi storici segnati lo scorso ottobre a 5 euro esatti.

E questo porta alla considerazione più ampia di una crisi di lungo periodo del titolo e forse dell’intero settore dei pagamenti digitali. Ma prima bisogna partire dalla seduta di oggi che comunque registra un caso specifico che pesa sui corsi.

Nexi, il collocamento a sconto di GIC

Secondo quanto riportato da Bloomberg e altri organi di stampa, il fondo sovrano di Singapore GIC avrebbe infatti venduto con un ABB (accelerated book building), la famigerata cessione di blocchi di azioni che sta penalizzando diversi titoli a Milano negli ultimi mesi, il suo 2,5% del capitale di Nexi. Prezzo della cessione a 5,83 euro, quindi il fatto che l’azione perda in queste ore il 4,12% e si riporti a 5,81 euro non stupisce.

Con la vendita accelerata sono passate di mano 28,8 milioni di azioni ai blocchi: non è tecnicamente una quota rilevante, ma praticamente sì e soprattutto è un altro segnale di sfiducia che appesantisce un titolo che ha già sofferto molto. Perché non c’è discussione: se in teoria i grossi collocamenti ai blocchi tramite ABB devono essere per natura a prezzi di favore (si giustifica così la rapida cessione a diversi investitori istituzionali) e quindi non dovrebbero influenzare direttamente i prezzi di mercato, in pratica avviene esattamente l’opposto e gli investitori – giustamente – tengono in considerazione lo sconto fatto e tendono a portare lì i prezzi, prendendoli a nuovo benchmark.

È forse un discorso impreciso e un po’ ingeneroso, ma non del tutto, perché se un investitore ha tanta fretta di vendere da ricorrere a un ABB a sconto, da liberarsi di quote che sul mercato varrebbero di più, è giusto che tutto il mercato valuti tutte le prospettive dell’operazione. Sono operazioni industriali, ma sono anche operazioni di mercato, insomma.

Nexi, Poste tiene la quota, ma in vista c'è un riassetto

Né è l’unica novità. Ieri l’amministratore delegato di Poste Italiane Matteo Del Fante ha ribadito l’impegno del gruppo sulle quote di Nexi e Anima, due asset strategici di una società strategica, che però, come un po’ tutto il portafoglio di pregio del governo italiano, potrebbe finire nel ventaglio delle liquidazioni di quote che Palazzo Chigi ha promesso.

La stessa Poste potrebbe vedere un alleggerimento della quota pubblica, ma anche Nexi è direttamente interessata.

Nel capitale di Nexi infatti la stessa Poste ha una partecipazione del 3,54% cui si aggiunge anche il più corposo 13,56% delle azioni in mano a CDP che potrebbero essere messe in vendita (con una probabile minusvalenza).

Nexi è sostanzialmente una public company, il flottante è oltre il 41% e la sua compagine societaria vede investitori privati istituzionali da sempre. Da Hellman & Friedman (19,9%) a Mercury UK Holdco (9,27%), da Eagle (6,08%) ad AB Europe (2%). Tutte sigle che celano nomi più noti (Advent, Bain, Clessidra...) e che si sono organizzate in un patto parasociale sul 39,3% (a novembre è calato dal 49,7% precedente) che scadrà il prossimo luglio e che a sua volta è stretto a un accordo con il 17,2% di CDP e Poste Italiane.

Così si moltiplicano le voci di riassetto azionario del quale si mormora da tempo. Con voci di interesse da parte di grandi player come CVC, Brookfield o Silverlake e di manovre da parte dei grandi banche come Citi e UBS. Tutte cose da vagliare alla luce dell’evoluzione in CDP e dei desiderata dei soci attuali, che allo stato delle cose bloccano ogni cambiamento di peso in tal senso, ma potrebbero questa primavera forse elaborare qualcosa di più palpabile di una voce.

Nexi, un periodo complicato

E della crisi tutti costoro sono chiaramente i più consapevoli, tanto che negli ultimi mesi sono state studiate diverse strade per trovare soluzioni di valore che rimettano in sesto la traiettoria del gruppo.

A febbraio per esempio era finito sulle cronache finanziaria il dossier della vendita della rete interbancaria di Nexi (ereditata da SIA) per la quale, secondo le voci di allora, F2i era pronta a pagare 800 milioni di euro.

Ma restiamo al titolo. Sul grafico si nota subito un candelone lo scorso 7 marzo: quella seduta l’azione ha aperto a 6,71 e sparato fino a un massimo di oltre 7,2 euro, poi è crollata fra volumi impetuosi fino a chiudere a 7,74 euro. Oltre 20,27 milioni di azioni scambiate in corso di seduta contro una media di 4,8 milioni: cosa era successo?

I dati del 2023. Dati oltretutto leggermente superiori al consensus, nel quarto trimestre ricavi in crescita del 6,8% a 912,9 milioni di euro contro un consensus di 904 milioni. Un Ebitda trimestrale da 484,1 (+9,7%) a fronte di stime degli analisti da 479 milioni. L’esercizio 2023 si è chiuso con un utile di gruppo da 711,8 milioni in crescita del 4,9%.

Ma questo è l’utile normalizzato, perché poi in pratica nel 2023 Nexi ha perso più di un miliardo di euro a causa di una svalutazione tecnica non cash da ben 1,256 miliardi di euro di avviamento e attività immateriali. Un taglio dei valori contabili collegato proprio all’andamento del prezzo dell’azione e alle condizioni di mercato.

Sono cose che pesano su un titolo e sicuramente hanno pesato anche su Nexi, nonostante una serie di indicazioni di segno contrario tese a tranquillizzare il mercato.

Segnali da leggere con cura per chi fosse indeciso sulla valutazione del titolo: coltello che cade o opportunità?

A inizio mese infatti Nexi ha annunciato un buyback da mezzo miliardo di euro, circa il 13% del flottante, ha indicato la società, noi calcoliamo qualcosa come il 6,46% del capitale sociale, ossia un interessante potenziale uptrend anche alla luce del fatto che – come noto – i buyback hanno un orizzonte di 18 mesi.

Ci sono poi i fondamentali, certo con una svalutazione come quella indicata il 7 marzo, sono da valutare con diffidenza, ma la dinamica forte della gestione caratteristica – ossia la crescita dell’ebitda di cui sopra - merita comunque almeno un accenno. Bisognerà guardarci dentro comunque, perché su 26,36 miliardi di attivo in Nexi 16,5 miliardi sono attività immateriali e 12 miliardi sono avviamento. Ci sta, data la natura digitale e innovativa del business, ma va considerato, anche alla luce della crisi duratura dei corsi di Borsa e delle criticità più generali dell’intero settore dei pagamenti digitali globali.

Nexi, un settore in crisi e una competizione che cresce anche in Italia

Paypal ha perso in un anno il 13,93%, Worldline (che oggi recupera) ha perso il 74% addirittura dopo la crisi profonda che ha affondato i corsi fino a metterla a rischio di opa ostile.

Da lì è nata la ricerca di un anchor investor individuato poi in Credit Agricole che è salito al 7% a gennaio con un investimento di circa 260 milioni di euro. Oggi la notizia del lancio di una joint venture (50%+1 in mano a Worldline, quindi una società consolidata) che parlerà ai merchant su scala globale e dovrebbe muovere i primi passi già a inizio 2025.

Nel mezzo la maretta di Worldline non è però finita perché la francese ha anch’essa chiuso il 2023 con dati in crescita e sostanzialmente in linea con le attese degli analisti (ricavi a 4,62 mld, +8,9%, ebitda stabile), ma ha chiuso anch’essa l’anno con un rosso reported di 817 milioni di euro dovuto proprio a una svalutazione dell’avviamento da 1,15 miliardi di euro: vi ricorda qualcosa?
Oltretutto le svalutazioni hanno riguardato i servizi merchant ossia quei POS che sono il cuore del business del gruppo francese e della Nexi italiana.

E nel frattempo si diffondevano anche i rumors su una battaglia proprio tra Nexi e Worldline per il merchant di Cassa Centrale Banca (CCB): un’operazione da 150-200 milioni di euro che regalerebbe al vincitore masse importanti. E si diffondevano le voci di una sfida tra i due grandi dei pagamenti digitali anche sulla monetica del Credem.

Anche il mercato italiano dei pagamenti digitali si fa insomma sempre più compresso dalla concorrenza, che non è solo un trend globale che sta comprimendo da tempo il business dei pagamenti, ma anche una questione nazionale come la creazione di BCC Pay ha dimostrato: il passaggio della monetica di Banco BPM alla jv tra FSI, lo stesso Banco e Iccrea ha infatti scosso un settore già in riassestamento ed evoluzione. C’è già chi parla di Risiko.

Ma intanto, anche se in linea con il consensus, Nexi ha ridotto le stime e prevede una crescita annua dei ricavi intorno al 5% e un aumento dell’ebitda un po’ migliore (5-9%) mentre la leva finanziaria (PFN/Ebitda) è prevista verso l’obiettivo di 2,9x (M&A compreso). Una revisione della guidance prevista, ma pur sempre una revisione che conferma un mercato difficile e sfidante.

E i piccoli azionisti di Nexi tardano ancora a vedere la luce.