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Credit Suisse a rischio spezzatino tra scandali e perdite

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
4 min

Il nuovo management del colosso svizzero deve gestire un’eredità davvero difficile, perdite miliardarie, scandali internazionali, operazioni dubbie, corruzione e molto altro. Il mercato intanto vende

Credit Suisse a rischio spezzatino tra scandali e perdite

Quando Credit Suisse è stata esclusa dal Dow Jones Sustainability ha ipotizzato “un riflesso dei recenti incidenti”; con MSCI ESG Rating la travagliata banca svizzera ha comunque tenuto una A (il bronzo nella lista dei giudizi possibili, dopo AAA ed AA). Ma quali incidenti?  Il titolo perde oggi (3 ottobre 2022) il 4,23% a 3,65 franchi dopo un crollo del 74% circa dai massimi del febbraio 2021: probabilmente la parola incidente era un eufemismo.

La banca ha chiuso il 2021 con un rosso da 1,65 miliardi di franchi, circa 1,66 miliardi di dollari. Il bilancio è stato firmato dal CEO Thomas Gottstein, che avrebbe lasciato la guida della banca a Ulrich Korner, dopo un secondo trimestre 2022 in rosso per ben 1,59 miliardi di franchi.

A pesare una serie di scandali e cattive puntate finanziarie. Secondo molti, Credit Suisse ha ormai superato Deutsche Bank per cattiva reputazione. Un brutto e opinabile primato, cui però la banca sembra avere contribuito con un certo impegno.

Dallo scandalo dei pedinamenti…

Gottstein era salito alla guida di Credit Suisse dopo le dimissioni di Tidjane Thiam per lo scandalo dei pedinamenti di un altro manager, Iqbal Kahn: nella storia anche il suicidio di un uomo della sicurezza. I rancori tra i due manager, sembra anche per motivi personali di cattivo vicinato, erano finiti in una buonuscita da 10 milioni di euro per Thiam e nel ritiro delle denunce penali, ma avevamo mostrato una spregiudicatezza che avrebbe dato maggiori prove di sé.

… ai tuna bond del Mozambico

Il 19 ottobre 2021 il Dipartimento di Giustizia USA annunciò una sanzione globale a Credit Suisse da 475 milioni di dollari (scontati): le autorità di Stati Uniti, Gran Bretagna e Svizzera sono state concordi nel condannare la banca che ha dovuto anche cancellare 200 milioni di dollari di debito al Mozambico. Sono i famosi tuna bond, prestiti a garanzia pubblica per circa $ 1,3 mld di dollari per la creazione di una flotta di pescherecci per il tonno.

È finita in mazzette, almeno $ 50 mln per i banchieri della CSSEL (la filiale UK di Credit Suisse) e $ 150 mln per ufficiali governativi mozambicani. Il peggior scandalo dell’Africa Meridionale. Il Mozambico ha dovuto dimezzare la spesa pubblica e tra il 2016 e il 2019, gli anni dell’operazione, circa 1,9 milioni di persone sarebbero cadute in povertà. Non tutti per colpa dei bond di Credit Suisse, che però hanno dato sicuramente una mano.

Poi miliardi persi con Archegos e Greensill

Ancora più grave (per la banca) il disastro di Archegos: ben 5,5 miliardi di dollari. Il default del family office di Sung Kook “Bill” Hwang è costato caro a molti, ma Goldman Sachs, Morgan Stanley e Deutsche Bank ne sono usciti meglio. Credit Suisse l’ha pagata più cara, eppure i segnali di rischio erano sulle scrivanie dei banker svizzeri.

Storia già vista: esplosione degli asset in gestione fino a 10-20 miliardi di dollari, leverage a 5 volte il capitale, oggi i regolatori si chiedono ancora cos’è che va storto nei controlli (prendiamo alcuni numeri da una nota di Banca d’Italia).

Ma non bastava. Credit Suisse si è fatta male anche con Greensill, la società del “Comandante dell’Ordine Britannico”, Lex Greensill, sostenuto dal governo britannico (soprattutto da David Cameron), dalla Casa Reale UK, da colossi come General Atlantic e SoftBank. L’idea era à la page: finanza per le supply chain, fornitori e fatture per le imprese, cartolarizzazioni, con tanto di “titoli salsiccia”.

Alla fine è andata male, nel marzo 2021 il fallimento di Greensill: Credit Suisse deve liquidare fondi per CHF 10 mld e ne ha ancora risarciti soltanto 6,7 miliardi, con molte incertezze sul futuro. Tra i finanziati di Greensill un colosso dell’acciaio della famiglia britannica Gupta (GFG Alliance), una startup americana miliardaria delle costruzioni “offsite” poi fallita (Katerra) e Bluestone Resources.

Quest’ultima è una società mineraria che investe nell’oro del Guatemala; è della famiglia del governatore del West Virginia Jim Justice che ha chiuso i debiti per 850 milioni di dollari con Greensill con rate fino a 320 milioni e la comproprietà in varie attività minerarie.

Poi anche altri scandali di natura più etica per il Credit Suisse: l’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) ha rivelato con l’aiuto del Suddeutsche Zeitung che nei conti della banca sono passati, tra fine anni ’40 e 2010, i soldi di trafficanti di esseri umani, di ufficiali accusati di tortura, di evasori fiscali d’alto livello e narcotrafficanti.

Gli scandali si moltiplicano insomma. Credit Suisse ha annunciato la scorsa settimana una revisione strategica globale, potenziali disinvestimenti e cessioni di asset: ipotesi spezzatino insomma, dopo il profit warning di inizio giugno. Ci sarà molto da fare. E intanto i pescherecci arrugginiscono a Maputo.