Fed, Powell ricarica i mercati

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

L'apertura del presidente della Fed cerca un nuovo equilibrio del doppio mandato della banca centrale in questo contesto sfidante. Intanto aumenta ancora la pressione di Trump e il dollaro si deprezza di nuovo

Fed, Powell ricarica i mercati
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La settimana scorsa ha registrato diverse notizie capaci di influenzare gli scenari di mercato dei prossimi mesi.

Il 21 agosto Stati Uniti ed Europa hanno confermato in un documento comune l’intesa generale sui dazi al 15%: sono rimaste al 50% le tariffe Usa su acciaio e alluminio UE, ma farmaceutico e automobilistico hanno incassato spunti positivi.
Almeno si è messo un punto fermo, ha commentato il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che però ha subito richiamato l’attenzione sul riequilibrio del cambio euro/dollaro.

Al cambio di oggi di 1,1699 dollari per ogni euro, la moneta unica europea segna un pesante rincaro del 15% sul biglietto verde, in pratica una barriera valutaria che raddoppia gli ostacoli per le esportazioni negli Stati Uniti.

Un tema economico globale ben presente che ha contribuito ad accrescere l’attenzione sul simposio Usa dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming.
Lì, venerdì 22 agosto, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha fatto la prima decisa apertura a un nuovo ribasso dei tassi Usa, mandando in rally l’azionario statunitense che infatti ha visto poi l’S&P 500 chiudere con un rialzo dell’1,5% e il Nasdaq con un balzo dell’1,9%.

Da qui bisogna ripartire per comprendere l’avvio di questa settimana di mercato che vedrà, tra l’altro, la pubblicazione mercoledì 27 agosto della seconda trimestrale di Nvidia e il giorno dopo i dati sull’inflazione PCE, quella più monitorata dalla stessa Fed.

Usa, la Fed ribilancia i rischi ossia si avvia a un taglio

Ancora una volta la Fed, come tutte le banche centrali, ha dovuto combinare le tessere di un puzzle economico complicato.

Powell ha sottolineato ancora l’incertezza derivante dalle nuove politiche commerciali (ossia i dazi, che potrebbero generare spinte inflazionistiche che si sperano temporanee), e migratorie (che limitano notevolmente il mercato del lavoro Usa).
Negli Stati Uniti la disoccupazione è su un livello del 4,2% storicamente basso, ma l’ultimo rapporto sulle buste paga del settore non agricolo a luglio ha registrato 35 mila nuovi posti al mese contro i 168 mila mensili del 2024, una frenata brusca da monitorare con attenzione.
Come se il nuovo equilibrio del mondo del lavoro si raggiungesse con un raffreddamento sia della domanda, che dell’offerta di lavoro. Dati fondamentali per la Fed, che ha il doppio mandato della “piena occupazione” e della “stabilità dei prezzi” da tenere insieme anche quando portano in direzioni opposte come in questa fase.

I dazi Usa mettono già sotto pressione i prezzi: l’inflazione dei prezzi al consumo – la citata PCE - è cresciuta a luglio al 2,6%, e l’inflazione PCE “core”, ossia senza le volatili componenti di alimentari ed energia, è cresciuta al 2,9% oltre i livelli di un anno fa. Non è certo uno scenario tranquillizzante, anche se appunto si spera che gli impatti dei dazi sui prezzi siano temporanei.

Ma la crescita del Pil Usa, ha segnato un forte rallentamento, dal 2,5% del 2024 all’1,2% nella prima metà dell’anno. La Fed sottolinea il calo della spesa dei consumatori, è però noto che il Pil Usa ha subito anche l’impatto dei dazi che hanno inizialmente portato a un’esplosione delle importazioni prima delle nuove tariffe. Il rallentamento dell’economia, al contrario della dinamica dell’inflazione, suggerisce quindi una politica monetaria meno restrittiva.

Alla fine dell’estate quindi il panorama economico Usa letto dalla Fed appare carico di contraddizioni in vista del doppio mandato del massimo impiego e della stabilità dei prezzi. “Mettendo insieme i pezzi, quali sono le implicazioni per la politica monetaria?  - si chiede Powell retoricamente – Nel breve termine i rischi per l’inflazione sono al rialzo e quelli per l’occupazione al ribasso, una situazione sfidante”.  

Così, nonostante i tassi Usa di oggi al 4,25%-4,50% siano di un punto percentuale più bassi del 5,25%-5,5% di un anno fa, lo stop a taglio dei tassi imposto in concomitanza con le nuove politiche dell’amministrazione Trump (quindi in pratica per tutta la prima metà del 2025) sembra ormai giunto al capolinea.

“Nel contesto di una politica restrittiva, l’outlook di base e il cambiamento della bilancia dei rischi potrebbero garantire un aggiustamento del nostro approccio di politica monetaria”. Un’apertura decisa a un taglio dei tassi già al prossimo meeting di settembre.

Non a caso le probabilità di un taglio dei tassi di 25 punti base, quindi al 4,00%-4,25%, al meeting del prossimo 17 settembre 2025 sono balzate subito dal 61,9% dello scorso 25 luglio all’84,7% quel giorno, secondo i calcoli sui future sui Fed Fund a 30 giorni fatti dal Fedwatch tool del CME.

Anche i titoli di Stato hanno reagito con il rendimento del Treasury Usa a 10 anni che nell’ultima seduta è rapidamente passato dal 4,33% al 4,25% (ossia acquisti sui titoli, tanto che molti hanno parlato di bond rally).

Ma per il cambio euro/dollaro le cose sono peggiorate ulteriormente con il rapporto EUR/USD balzato temporaneamente sopra gli 1,17.

Usa, dalla Fed un nuovo scenario e le pressioni di Trump aumentano

Questa settimana si è aperta dunque con un nuovo scenario. Sebbene la Fed abbia cercato a Jackson Hole di difendere la propria autorevolezza, per esempio ribadendo la difesa del proprio mandato ottenuto dal Congresso (non dalla Casa Bianca) e rivedendo La dichiarazione sugli obiettivi di lungo termine e sulla strategia di politica monetaria a segnalare una view di lungo periodo (e dunque autonoma dai governi), molti hanno letto le ultime mosse di Powell come un cedimento alle pressioni duplici di Wall Street e di Donald Trump.

Il deprezzamento del dollaro degli ultimi mesi ha infatti incoraggiato molto le quotazioni borsistiche americane, rendendo più convenienti i titoli Usa, mentre Trump ha condannato duramente, fino all’insulto, l’approccio restrittivo di Powell degli ultimi mesi. Come noto il mandato di Powell scade soltanto il prossimo maggio 2026, nondimeno le pressioni presidenziali e repubblicane sono cresciute con costanza negli ultimi mesi. Anzi la scorsa settimana si è registrato un altro caso.

Bill Pulte, ceo e fondatore del fondo di private equity Pulte Group, ma soprattutto nipote del fondatore di uno dei maggiori costruttori di abitazioni degli Stati Uniti (il Pulte Group), nominato da Trump a gennaio alla presidenza della FHFA, la Federal Housing Finance Agency che monitora i mutui e colossi del settore come Freddy Mac e Fannie Mae, il 20 agosto ha scritto in un post su X di avere ottenuto dei documenti su un mutuo della governatrice della Fed Lisa Cook che attesterebbero due dichiarazioni contraddittorie sullo stesso immobile (residenza personale in uno e affitto in un altro).

La notizia della presunta falsificazione di alcuni documenti ripresa da Bloomberg viene subito rilanciata da un post di Trump che sul suo Truth chiede le dimissioni immediate della governatrice (che ha risposto di non aver intenzione di essere costretta a lasciare la propria posizione per delle questioni sollevate con un tweet).

A questo punto è salito il livello dello scontro. Ovviamente Cook è una democratica nominata da Joe Biden e una sua sostituzione potrebbe spostare gli equilibri tra democratici e repubblicani nell’organo decisionale sui tassi della Fed, il FOMC.

Fra l’altro Trump è ancora alla ricerca di un sostituto per Adriana Kugler, l’economista che a inizio agosto si è dimessa a sorpresa lasciando vuota la propria posizione dall’8 agosto e aumentando le probabilità di una Fed sempre più incline alle indicazioni di Trump (tagli dei tassi indipendentemente dalle indicazioni macroeconomiche).

Tanti tasselli insomma, un po’ per forza, vanno nella direzione voluta dalla Casa Bianca e in molti vedono anche l’ultima apertura di Powell a un taglio dei tassi come un altro cedimento ai desiderata dal presidente.
Autorevolezza e autonomia della Fed non sono tra le priorità di Trump, resta da comprendere se anche Wall Street la vedrà in questo modo.

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