Fed, il taglio dei tassi a dicembre si fa più incerto
pubblicato:Due membri del board si schierano contro e nonostante le pressioni di Trump crescono i timori per l'inflazione. Powell si lascia insomma libere le mani in vista dell'ondata di dati macro in arrivo e i mercati, compreso il settore tecnologico, bilanciano i rischi

La luna di miele con i mercati ispirata dal termine dello shutdown è durata poco e già gli operatori si interrogano su nuove e vecchie incertezze. Tra le vecchie i dubbi sulla tenuta del patto democratico piuttosto discusso e divisivo, dall’altro le conseguenze della riapertura delle agenzie federali che finalmente forniranno i dati dell’economia, un pilastro per le decisioni della Fed che tra 26 giorni, il 10 dicembre, dovrà stabilire se lasciare i tassi d’interesse dove sono, ossia nel range tra il 3,75% e il 4,00% o abbassarli di un altro quarto di punto al 3,50%-3,75%.
Fed, lo scenario sui tassi si fa più incerto
Gli operatori sono confusi come di rado capita, lo dimostra il FedWatchTool, lo strumento del CME che calcola le probabilità sulle varie opzioni della Fed basandosi sui prezzi dei future sui Fed Fund a 30 giorni, un indicatore piuttosto volatile di solito, ma che oggi vede straordinariamente gomito a gomito la possibilità di un taglio con quella di un nulla di fatto: il 49,6% di probabilità per la riduzione del costo del denaro e il 50,4% per la decisione di lasciare tutto com’è.
Soltanto una settimana fa le probabilità di un taglio erano del 66,9% e un mese, fa, il 14 ottobre era praticamente certo che ci sarebbe stato un taglio, con un 94,4% di probabilità per questa opzione.
Il quadro paradossalmente con l’ondata di dati macroeconomici in arrivo è percepito dagli operatori non come più limpido e chiaro, ma come più confuso e incerto. Alcuni investitori temono che il flusso di nuovi dati possa scuotere i mercati azionari e ribaltare proprio le scommesse sui tassi d’interesse, ossia cancellare quella certezza di un ultimo taglio a dicembre che aveva contribuito alle performance positive di Wall Street.
Fed, le incertezze dei tecnologici non sono scollegate dal dossier dei tassi
Anche l’altalena dei titoli tecnologici e i rinnovati timori di una bolla dell’AI giocano il loro ruolo, ma sostanzialmente i dati privati e le trimestrali sono stati nelle ultime settimane il faro per le interpretazioni degli operatori.
Adesso tocca ai dati macroeconomici e pubblici, a partire da quelli sul mondo del lavoro attesi con rara ansia per via del deterioramento visto prima dello shutdown e per il loro peso negli orientamenti del FOMC, il comitato della Fed che decide sui tassi d’interesse.
A differenza della BCE infatti a Washington l’ente FED guidato da Jerome Powell non ha solo un mandato sul controllo dei prezzi e il contrasto dell’inflazione (o della deflazione), ma deve anche indirizzare le proprie decisioni sull’obiettivo della piena occupazione e proprio il contrasto tra questi due poli del doppio mandato della banca centrale è stato un pilastro della narrazione dei mercati dell’ultimo anno, anche perché un’inflazione più ‘appiccicosa del previsto’.
Tout se tient, direbbero i francesi, tutto si tiene, perché poi anche l’andamento dei titoli tecnologici, che concentrano come mai in passato nella storia i capitali di Wall Street e i suoi rischi, hanno fame di un basso costo del denaro Usa per finanziare al meglio i mastodontici investimenti nell’intelligenza artificiale e nelle sue infrastrutture. Quindi il problema è complesso e la visibilità si riduce, perché l’irruzione nelle analisi di una mole di dati imponente rischia di modificare lo scenario al quale poi la Fed dovrà rispondere con mosse appropriate.
Per arrivare a indicazioni concrete bisogna tornare al 17 settembre quando le proiezioni macroeconomiche dello staff della Fed con i celebri dot plot sostanzialmente indicavano una mediana delle attese tra i componenti del FOMC per tassi al 3,6% alla fine del 2025, quindi l’ipotesi di due tagli entro la fine dell’anno e quindi un altro taglio a dicembre, quando oltretutto gli staff della banca centrale aggiorneranno le proiezioni macroeconomiche alle quali stanno sicuramente già lavorando con fervore.
Fed, due membri del FOMC si schierano contro i tassi
I segnali intanto si moltiplicano. La presidente della Fed di Boston Susan Collins, che pure ha votato entrambi i tagli dei tassi d’interesse della Federal Reserve di quest’anno, ha dichiarato di vedere una barra relativamente alta per ulteriori alleggerimenti. Pesano i timori su un’inflazione che potrebbe risultare elevata e sulla quale per il momento si hanno poche informazioni per via dello shutdown. Senza una chiara evidenza di deterioramento sostanzialmente Collins preferisce aspettare ancora prima di nuove riduzioni del costo del denaro. Una conferma alle divisioni del board della banca centrale su un prossimo taglio dei tassi che già due settimane fa il presidente Jerome Powell aveva veicolato al mercato.
Dello stesso avviso sostanzialmente lo storico presidente della Fed di Atlanta Raphael Bostic che ha affermato in un discorso di oltre due ore l’altro ieri di credere che la stabilità dei prezzi è il rischio più chiaro e urgente. “Vedo segnali dal mercato del lavoro ambigui e difficili da interpretare. Non sono abbastanza chiari da garantire una risposta aggressiva della politica monetaria quando soppesati con il rischio più lineare proveniente dalle pressioni inflazionistiche in corso”.
Fed, intanto la pressione di Trump sale
Bostic in realtà ha annunciato nella stessa occasione a sorpresa l’intenzione di dimettersi a fine mandato il prossimo 28 febbraio 2026, ma non avrebbe comunque votato fino al 2027 per via delle rotazioni previste tra i membri votanti del FOMC, anche se comunque parteciperà alle riunioni di politica monetaria e contribuirà alla formazione della decisione finale.
Facile leggere nell’annuncio del presidente regionale di Atlanta nuove pressioni di Donald Trump che ha denunciato più volte la necessità di tagli del costo del denaro più decisi giungendo agli insulti a Powell che comunque terminerà il proprio mandato il prossimo maggio. Le dimissioni di Bostic sono le seconde quest’anno dopo quelle, anch’esse a sorpresa di Adrian Kugler che è stata sostituita da Stephen Miran, un fedelissimo di Trump che già all’ultimo meeting voleva un taglio di mezzo punto percentuale dei tassi.
Non mancano insomma le spinte della Casa Bianca. Il mercato però appare sempre più indeciso e la Fed sembra ora volersi lasciare le mani libere in vista della rapida analisi del flusso di dati di in arrivo dall’economia, sia dal lavoro, che dall’inflazione.
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