Armi e Difesa, i numeri in gioco all’avvio del vertice chiave della Nato
pubblicato:C’è già chi si smarca dalla richiesta di portare gli impegni al 5% del Pil. Ecco i numeri dei Paesi, delle industrie, dell’Europa

Occhi puntati sulla difesa europea durante la due giorni della Nato ospitata per la prima volta il 24 e il 25 giugno 2025 all’Aja, nella patria del segretario generale dell’organizzazione nordatlantica Mark Rutte.
Più in casa di così l’uomo che ha guidato i Paesi Bassi per 14 anni, prima di salire al vertice della Nato lo scorso ottobre non potrebbe essere.
Ma la due giorni dell’Aja non potrebbe presentarsi più complicata. Soltanto nelle ultime 12 ore in Medioriente si sono registrati gli attacchi ‘telefonati’ dell’Iran alle basi Usa del Qatar, l’annuncio di una tregua di 12 ore da parte di Donald Trump e la dichiarazione israeliana che l’Iran avrebbe lanciato comunque due missili interrompendo il cessate il fuoco e aprendo la strada a ulteriori attacchi di Tel Aviv a Teheran.
Nato, il patto del 2% da portare al 5% tra bandierine politiche e pressioni USA
Ora il patto di difesa reciproca denominato Nato risale al 1949 e alla guerra fredda, ma è logorato da anni di critiche spesso provenienti dal suo più importante membro, gli Stati Uniti oggi guidati da Donald Trump, non proprio un paladino delle istituzioni internazionali.
E’ del 2014 il famoso accordo che impegnerebbe i Paesi membri dell’organizzazione a spendere il 2% del Pil in Difesa, quindi in risorse che sarebbero condivise dallo scudo teorico della Nato. Lo si ricorda di rado, ma quella prima intesa fu stretta sulla scorta dei primi attacchi della Russia all’Ucraina.
Due terzi dei Paesi Nato avrebbero raggiunto quella soglia, anche sulla scorta delle forti pressioni di Trump, ma ora la stessa Casa Bianca ha alzato l’asticella dal 2% al 5% del Pil e proprio ieri sera Mark Rutte si è sbilanciato sull’esito degli incontri di questi due giorni affermando: “Gli Alleati approveranno un grande piano di investimenti in difesa, alzando il parametro al 5% del Pil”.
L’olandese ha insomma buttato il cuore verso l’ostacolo, anche perché la concordia, soprattutto europea, sull’investimento del 5% del Pil in difesa, anche inserendo una componente importante di infrastrutture, sembra tutt’altro che certa. Diversi Alleati temono tra l'altro che, anche strappate queste ultime concessioni, l’asticella di Trump possa essere portata ancora più in alto.
Fra l’altro tra i 32 Paesi membri della Nato si contano il Canada, che Trump vorrebbe annettersi come la Groenlandia che fa riferimento alla Danimarca, altro Paese Nato della prima ora.
Non si può poi escludere che Trump non faccia qualche nuova scenata e magari se ne vada in anticipo lasciando in bilico ogni conclusione del meeting come in parte fatto già al G7 del Canada.
Gli stessi numeri previsti ballano e si confondono, il 5% del Pil sarebbe in realtà un 3,5% di Prodotto interno lordo davvero investito in difesa e un altro 1,5% di investimenti collegati in infrastrutture e industria al servizio anche della difesa.
Prima del meeting si sono già smarcati il premier della Spagna Pedro Sanchez che ha rivendicato di avere ottenuto della flessibilità su questi investimenti previsti dalla Nato (che però smentisce e chiede almeno quel 3,5%) e cui si è subito accodato il premier Robert Fico della Slovacchia.
Anche se gli impegni da sottoscrivere sono a 10 anni, quindi con scadenza 2035, sono tanti i Paesi che tergiversano e invocano flessibilità, compresa l’Italia.
In dubbio non c’è soltanto la sostenibilità fiscale degli impegni richiesti, ma anche l’efficacia di questo approccio (investimenti in cosa? Missili? Cyberwar? Carri armati?) o anche la proporzionalità (un punto di Pil dell’Italia è molto di più di un punto di Pil dell’Estonia).
Al tempo stesso tutti rivendicano la necessità di mantenere dentro l’organizzazione gli Stati Uniti che a ogni piè sospinto con Trump sembrano volere abbandonare il consesso. Qualche numero può aiutare.
Difesa e armi, 2,7 trilioni di dollari e il primato indiscusso degli Stati Uniti
Secondo il rapporto annuale del SIPRI nel 2024 la spesa globale in armamenti è stata di circa 2.700 miliardi di dollari, in crescita per il decimo anno di seguito.
L’Europa, secondo dati della Commissione, ha portato gli investimenti in Difesa dai 198 miliardi di euro del 2020 a ben 326 miliardi nel 2024. L’Unione ha varato il piano Rearm Europe da 800 miliardi di euro del quale la parte realmente condivisa è per ora il programma comune Safe da 150 miliardi, la cui approvazione di recente aveva portato su nuovi massimi il titolo Leonardo.
L’anno scorso l'ultimo rapporto Sipri però calcola 1,027 trilioni di dollari spesi in difesa dal Nord America e 693 miliardi di dollari spesi da tutta l’Europa (Europa centro-orientale, Ucraina compresa).
Secondo dati Nato l’anno scorso la Polonia ha speso il 4,12% del Pil in Difesa, contro il 3,38% degli Stati Uniti, il 2,33% del Regno Unito, il 2,12% della Germania, il 2,06% della Francia e l’1,49% dell’Italia. In termini finanziari e industriali però ci sono anche altri numeri da guardare.
Secondo il Sipri tra il 2020 e il 2024 il 43% delle esportazioni globali di armi sono da attribuire agli Stati Uniti, contro per quota dell’export globale seguono la Francia (9,6%), la Russia (7,8%) e la Cina (5,9%). Solo dopo vengono Germania (5,6%) e Italia (4,8%). I più grandi acquirenti sono stati in Asia e Oceania, seguiti solo dopo dall’Europa che però include l’Ucraina che è stato nel periodo il primo importatore globale con l’8,8% del totale, più di India (8,3%), Qatar (6,8%) e Arabia Saudita (6,8%).
Paese | % Pil |
---|---|
Polonia | 4,12% |
Stati Uniti | 3,38% |
Francia | 2,06% |
Germania | 2,12% |
Italia | 1,49% |
Spagna | 1,28% |
Armi e Difesa i grandi player mondiali e i piccoli europei
Il rapporto Sipri 2025 conferma anche sul fronte delle società il predominio indiscusso degli Stati Uniti nel settore degli armamenti. In base ai ricavi da armamenti le prime cinque società globali sono per ricavi Lockheed Martin ($ 60,8 mld), RTX ($ 40,6 mld), Northrop ($ 35,57 mld), Boeing ($ 31,1 mld) e General Dynamics ($ 30,2 mld). Solo dopo vengono la britannica Bae Systems (29,81 mld) e la russa Rostec (21,73 mld). Al confronto la tedesca Rheinmetall, con i suoi 9,75 miliardi di euro di ricavi nel 2024 o Leonardo con i suoi 17,8 miliardi di ricavi complessivi, sono dei nanetti.
Società | Paese | Fatturato 2024 |
---|---|---|
Lockheed Martin | USA | 60,81 ($ mld) |
RTX | USA | 40,66 ($ mld) |
Northrop Grumman | USA | 35,57 ($ mld) |
Boeing | USA | 31,1 ($ mld) |
General Dynamics | USA | 30,2 ($ mld) |
BAE Systems | UK | 29,81 ($ mld) |
Rostec | Russia | 21,73 ($ mld) |
Leonardo | ITA | (€ mld) |
Rheinmetall | GER | 9,75 (€ mld) |
Eppure titoli come Leonardo e Rheinmetall hanno un peso nell’indice di riferimento europeo lo Stoxx Europe Total Market Defence Capped che in questo momento cede lo 0,88% e ospita anche nomi come i francesi di Safran e Thales (oltre alla Rolls Royce Holding). Guardandolo da vicino l’indice conferma quello che molti investitori però accennano e affermano da tempo: i multipli sono ormai tirati e un investimento nel settore rischia ormai di essere fuori tempo massimo, nonostante tutte le pressioni citate sul settore.
Lo vale ormai circa 272,5 miliardi di euro di capitalizzazione, negli ultimi 5 anni si è moltiplicato per 6 (+510%), nell’ultimo anno è aumentato del 79,6%. Il suo rapporto prezzo utili negli ultimi 12 mesi è a 46,6x (P/E trailing), il P/E forward è ormai a 31x con un prezzo dell’indice che è in media 2,8 volte le vendite (Price/sales) e ben 32,6 volte i flussi di cassa (price/cash flow). Anche in questo quindi c’è il rischio che il conto sia davvero troppo caro.
Stoxx Europe Total Market Defence Capped | |
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market cap | € 272,5 mld |
Performance 1 anno | +79,6% |
Performance 5 anni | +510,1% |
P/E trailing | 46,6x |
P/E projected | 31x |
Price/Sales | 2,8 |
Price/cash flow | 32,6 |