Gli accordi Trump in Arabia Saudita e il delicato puzzle

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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In Medioriente segnali di stabilizzazione a tutti i partner, compreso l'Iran. Grande assente Israele e slitta ancora l'ingresso di Riad nel Patto di Abramo. Intanto le armi USA registrano nuovi contratti

Gli accordi Trump in Arabia Saudita e il delicato puzzle

Business as usual. Il viaggio di Trump in Arabia Saudita ricorda da vicino il primo viaggio all’estero nel maggio 2017, proprio a Riad, quando il presidente USA dichiarò accordi per 350 miliardi di dollari con l’Arabia Saudita, dei quali 110 miliardi in armi, che allora l’inquilino della Casa Bianca descrisse come il il singolo ordine militare migliore della storia degli Stati Uniti.

Vendere armi al principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud a Trump piace. Nessuna remora a incontrare il principale indiziato del massacro del giornalista del Wall Street Journal Jamal Khashoggi, del quale lo stesso Trump ritiene bin Salman colpevole, visto che poi dichiarò che i depistaggi di Riad erano “il peggiore insabbiamento nella storia degli insabbiamenti”; un “total fiasco”.

Questa volta i nuovi contratti celebrati sono per 600 miliardi di dollari di investimenti negli Stati Uniti. In realtà Riad aveva già anticipato questo volume di investimenti a stelle e strisce in quattro anni, ma insomma per l’occasione fa bene ricordarlo e precisarlo.

Anche perché si possono così elencare 20 miliardi di dollari di investimenti dell’araba DataVolt in data center e infrastrutture energetiche negli Stati Uniti; altri 80 miliardi di dollari in tecnologie “trasformative” in entrambi i Paesi da un consorzio di DataVolt con Google, Oracle, Salesforce, AMD e Uber.

Poi esportazioni di servizi per oltre 2 miliardi di dollari da Hill International, Jacobs, Parsons, Aecom in progetti come l’aeroporto internazionale del Re Salman, il Parco del Re Salman, La Volta, la città di Qiddiya.

Le turbine a gas di GE Vernova e le sue soluzioni energetiche incassano contratti sauditi per 14,2 miliardi e AviLease ordina un Boeing 737-8 da 4,8 miliardi di dollari, alla faccia della Cina.

Trump, i legami storici con l'Arabia Saudita e i piani per il futuro

L’Arabia Saudita, come noto, è uno dei pochi Paesi totalmente sfuggiti ai dazi di questa seconda amministrazione Trump, ma i rapporti con gli Stati Uniti sono storici e consolidati.

Lo stesso Donald Trump promosse la firma a Washington degli storici Accordi di Abramo nel settembre 2020, con cui Baharain, Emirati Arabi, Marocco e Sudan ristabilirono rapporti diplomatici con lsraele, già allora guidata da Benjamin Netanyau. Ma il cardine di quel progetto era ed è l’Arabia Saudita, intesa come il baluardo amico in Medioriente e perciò necessariamente in dialogo con Israele.

Trump lo ha rivendicato anche questa volta “il suo più grande sogno sarebbe un’adesione dell’Arabia Saudita agli Accordi di Abramo”, ma ha dovuto anche concedere: “Lo farete con i vostri tempi”.

Fuori dai minuetti, neanche il regime di bin Salman può per ora normalizzare i rapporti con Tel Aviv mentre questa muove nuovamente i carri armati su Gaza e rifiuta l’ingresso degli aiuti umanitari, mentre Onu, Russia, Cina e Regno Unito bocciano il piano USA-Israele di distribuzione di aiuti a Gaza tramite contractor privati.

Ma anche il petrolio greggio è il grande tema pressoché sottaciuto: all'Arabia costa meno, ma le politiche dell'Opec+ sono state spesso criticate da Trump. Ora che questa - in parte come voleva Trump - ha ripreso a produrre i prezzi del petrolio sono calati, ma sotto certi livelli rischiano di minacciare la tenuta dei conti pubblici e dei progetti di bin Salman. Più lontano dalle telecamere, sicuramente, se ne sarà parlato.

Trump apre anche all'Iran

Ma la festa del business arabo-americano a Riad può continuare abbastanza indisturbata. Segnali di fumo vengono persino spediti a Teheran, in quell’Iran che da anni è in conflitto con l’Arabia Saudita per la questione yemenita e che è la bestia nera di Israele in Medioriente.

L’obiettivo di una stabilizzazione (forse non alberghiera) dell’area è lampante, vengono terminate le sanzioni alla Siria, visto che ora c’è un governo con il quale si può discutere (anche se Aḥmad Ḥusayn al-Shara detto Al Jolani è un ex di Al-Qaida in passato nella lista Usa dei terroristi, ma già a dicembre Washington aveva abolito la taglia da 10 milioni di dollari).

Ma anche a Teheran viene lanciata una scialuppa: “Oggi non sono qui solo per condannare le scelte passate dei leader iraniani, ma per offrire loro un percorso nuovo e migliore verso un futuro più promettente”.

Così il trade off preferito di Trump tra bastone e carote. Se l’Iran rinuncerà a ogni progetto di arma nucleare allora si potrà stabile un percorso di appeasement nell’area, al contrario “non avremo scelta che infliggere la massima pressione, portando a zero l’export iraniano”.

Un’offerta che ricalca i progetti americani del passato che andarono sotto la sigla di JCPOA nel 2018, ma che – viene precisato – è a tempo. Il presidente Masoud Pezeshkian, da difeso “in piena coordinazione con l’ayatollah Seyyed Ali Khamenei” il principio del percorso verso la prosperità del Paese e dei suoi cittadini, che fuori dai bizantinismi significa che intende continuare a studiare l’arricchimento dell’uranio per fini civili.

I negoziati tra Teheran e Washington sono attivi da tempo, ancora domenica ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi ha tenuto un quarto round di negoziati nella capitale dell’oman Muscat con una delegazione statunitense guidata da Steve Witkoff. Ma gli incidenti capitano, per esempio il vice JD Vance ha dichiarato che l’Iran dovrebbe smantellare le centrali iraniane di arricchimento dell’uranio e la sua posizione è rimbalzata sul Tehran Times spingendo alle precisazioni iraniane (anche se poi lo stesso Vance ha spesso precisato che l’Iran secondo lui ha il diritto di sviluppare il nucleare civile). Washington comunque non intende rinunciare all’approccio della “massima pressione”, come visto sulle minacce di ulteriori sabotaggi dell’export iraniano di petrolio.

Una posa che mal si concilia con la necessità iraniana di spuntare un accordo che salvi la faccia di Teheran. Forse l’intervento dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica AIEA guidata da Rafael Grossi, che propone di aiutare lo sviluppo del nucleare civile scongiurando quello per gli armamenti potrebbe portare a dei passi avanti, ma le resistenze da entrambe le parti sono ancora consistenti.

Trump incassa contratti in armi per 142 miliardi e gli acquisti tornano sul settore

Con i nuovi 142 miliardi di dollari di contratti in armamenti venduti all’Arabia Saudita, forse con un ruolo importante degli F-35 Lockheed gli Stati Uniti intanto continuano ad armare l’area. Nel frattempo a Istanbul domani Volodymyr Zelensky rischia di rimanere solo, perché la Russia fa di tutto per ignorare le nuove pressioni europei per un cessate il fuoco.

Di tutto questo dinamico quadro approfitta oggi il settore Difesa, anche europeo: l’indice Euro Stoxx Defence cresce dello 0,95%, dopo un guadagno del 43,5% nell’ultimo anno. Leonardo guadagna lo 0,75%, Fincantieri il 2,04%, la tedesca Rheinmetall l’1,8%, la francese Dassault Aviation lo 0,6% A Londra Bae Systems segna un rialzo dell’1,97%.