Auto in panne in Europa, le vendite crollano ancora
pubblicato:L’industria deve affrontare enormi sfide, ma dopo due anni le soluzioni non si vedono e così ai posti di lavoro che l’elettrico taglierà rischiano di aggiungersene molti altri

In queste ore l’indice Stoxx Europe 600 Automobiles & Parts cede il 2,2%, un po’ meno dell’Euro Stoxx 50 (-2,51%), ma senza un gran consolazione e con delle ragioni parzialmente specifiche. Anche il mese di maggio ha infatti registrato un calo a doppia cifra delle immatricolazioni di nuove auto, un -11,2% che comprime a 791.546 vetture le vendite in tutta l’Europa a 26 (Malta non viene mai conteggiata). Nei cinque mesi del 2022 le vendite sono state di appena 3,72 milioni, con una flessione del 13,1% del mercato UE. Sono dati su cui si riflette da tempo e che costituiscono una sfida per un settore che in Europa conta, tra impieghi diretti e indotto, ben 12,7 milioni di europei, circa il 6,6% del totale del lavoro europeo e l’8% del Pil.
Una crisi così persistente e così “diversa” per molti aspetti non può restare inascoltata. D’altronde riflette una fase di transizione più generale che riguarda anche gli altri settori dell’economia e per troppi aspetti resta assai difficile da governare.
Nel 2021 in Europa sono state prodotte appena 10 milioni di vetture, il 7,1% in meno di un 2020 già in crisi e oltre 4 milioni in meno del 2019 del pre-pandemia. Sono cifre da crisi strutturale che con metodo cartesiano andrebbe sezionata per evidenziarne gli elementi chiari e distinti ed approntare se non una soluzione, almeno una strategia di adattamento.
Auto, chip shortage all’europea
Chip shortage ed elettrificazione dei trasporti, caro carburanti e generali difficoltà di approvvigionamento proiettano sulle quattro ruote il cuore delle questioni del nostro tempo.
I dati non bastano, ma possono supportare delle politiche che stentano ancora a definirsi sia sul fronte pubblico, che su quello privato.
A Melfi si ripartirà il 27 giugno, ieri l’annuncio del nuovo blocco che si aggiunge ad altri 7 giorni di stop a giugno. La ragione è ancora una volta quella carenza ormai strutturale di semiconduttori che è una sconfitta insieme della globalizzazione e dell’industria occidentale dell’auto con pochi precedenti. Già perché ci sono delle responsabilità.
Se si prendono i dati di maggio, si nota subito che la coreana Hyundai ha visto un balzo delle immatricolazioni in Europa del 9,8% e con 78.167 auto vendute nel mese di maggio è nel mese il terzo player europeo dopo Volkswagen e Stellantis e prima di Renault. Sono volumi e non necessariamente profitti, ma subito dopo nella classifica europea è ormai salita anche Toyota, la casa giapponese ha immatricolato 57.497 vetture, il 5,1% in più del maggio 2021 e più di BMW o Mercedes. Sono pochi i gruppi con performance positive, come detto, ma si contano fra loro anche le giapponesi Nissan (+7,7% a 14.258 vetture) e Honda (+15,4% a 4,152 unità). Insomma è naturale pensare che gli asiatici abbiano battuto di misura gli europei proprio sul fronte del chip e delle componenti. E non è vittoria dell’ultimo mese. Possibile che le case europee non siano riuscite in due anni a stabilizzare le forniture dei microprocessori e degli altri componenti che gli servono per la produzione?
Lo scorso anno, la stessa Acea ha confermato un recupero della produzione di Giappone e Sud Corea del 4,7% a oltre 1,2 milioni di vetture.
Intendiamoci il 2021 ha visto una bilancia commerciale dell’auto ancora in netto guadagno, con 125 miliardi di export di quattro ruote contro 52,8 miliardi di import, ma siamo ancora di ben 15 miliardi di euro sotto il surplus commerciale del pre-pandemia. E le prospettive non sono rosee, soprattutto se si pensa agli obiettivi di una industria dell’auto delle quattro ruote che dovrebbe cessare di fare un ricorso sistematico alla cassa integrazione.
Auto: l’Italia e l’Europa intanto stanno a guardare
Il crollo del Vecchio Continente potrebbe essere tristemente profetico, perché anche sul fronte tecnologico resta molto da fare. È indubbio che la crisi degli ultimi due anni sia stata soprattutto dovuta alla pandemia prima e ai colli di bottiglia dopo. Le strozzature dell’approvvigionamento dovevano essere temporanee e solo dopo due anni sono state riconosciute come cappi strutturali.
È persino ovvio che non si mette in piedi una filiera dell’auto, chip compresi, in così poco tempo ed è altrettanto banale il legittimo dubbio su cosa ricostruire. L’auto infatti sta cambiando molto rapidamente e l’Europa ha già detto che dal 2035 il nuovo dovrà essere per forza elettrico o giù di lì. Inoltre le nostre città si svuotano di vetture e si riempiono di bici e monopattini elettrici, di vetture e motorini in sharing, con inevitabili effetti anche sulla domanda, che difficilmente tornerà ad essere la stessa del pre-pandemia, sia per qualità che per quantità.
Ma l’auto elettrica non si fa da un giorno all’altro e se anche si stanno organizzando sempre di più le filiere di questa vera rivoluzione della mobilità, i problemi sul tavolo sono tantissimi. Per esempio quello del lavoro. Sembra che un’auto elettrica impieghi un terzo circa dei componenti di un’auto endotermica: roba da disastro sociale, peraltro già denunciato in America.
CLEPA, la potente associazione europea dei componentisti dell’auto, ha commissionato uno studio a PWC secondo il quale la perdita di lavoro nel mondo delle quattro ruote rischia di essere imponente. Prevede infatti che a fronte di oltre mezzo milione di posti ormai resi obsoleti per il passaggio all’elettrico entro il 2035, se ne creeranno soltanto 226 mila di nuovi nel mondo delle auto elettriche. Oltretutto se e solo se l’Europa riuscirà a creare una propria filiera della batteria, cosa non scontata.
Significherebbe insomma nel migliore dei casi ben 275 mila posti in meno entro il 2040. Sono domande cui Bruxelles e Roma dovranno rispondere, ma non solo.
Ma qual è il panorama attuale?
Il quadro si sta ancora componendo, ma alcune misure sono già in campo. Per esempio in Italia è stato creato un fondo da 8,7 miliardi di euro in 8 anni per riprogettare la filiera automotive e aiutare l’industria nella trasformazione. È l’ambito del famoso Ecobonus, che però, almeno nel 2022 si traduce in 650 milioni di euro di incentivi all’acquisto di veicoli a basse emissioni. Ma il problema ovviamente non è solo sul fronte della domanda.
Se infatti la crescita delle richieste di auto elettriche è vigorosa, i loro numeri in valore assoluto restano marginali, il record del 26% delle vendite in Europa a dicembre 2021 è infatti eccezionale, ma si confronta con un mercato asfittico da anni, nonostante sia il più dinamico del mondo.
L’Europa d’altronde è impegnata in una profonda transizione ecologica e digitale al servizio della prossima generazione di cui forse l’auto è l’emblema più vivo. L’ultimo piano FIT for 55 pone obiettivi ancora più ambiziosi sull’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica delle auto e cerca di abbracciare una visione di filiera tanto indispensabile quanto difficile, se si vogliono fare le cose sul serio. Bisogna infatti ammettere le ultime lezioni impartite dalla crisi.
I colli di bottiglia hanno segato le vendite e la produzione di auto UE negli ultimi due anni: abbiamo capito che le nostre filiere sono lontane e spesso inaffidabili, che sono troppo concentrate e che possiamo ragionevolmente pensare al reshoring, ma soltanto entro limiti ben determinati e limitati.
Con la crisi ucraina abbiamo capito che i piani sull’indipendenza del futuro devono confrontarsi con le dipendenze del presente, che le filiere possono diventare il filo di burattinai dagli interessi geopolitici non sempre convergenti con i nostri, che probabilmente se ripari la gomma, qualcuno penserà al motore e alla fine si possono differenziare le fonti di approvvigionamento, ma l’indipendenza è una chimera persino ridicola.
Con tutto ciò si confrontano oggi il -19% di Volkswagen nei primi 5 mesi di maggio in termini di volumi di vendite di auto (922 mila circa), il -23,7% di Stellantis (767.807), il -13,7% di BMW e il -11,3% di Mercedes-Benz.
Nel frattempo Stellantis rompe con Acea, l’associazione europea dei costruttori che assomma queste cifre; General Motors, Ford e Hyundai affermano che nella seconda metà del 2022 la crisi dei chip dovrebbe affievolirsi (ma è stato detto già varie volte), ma colossi del chip per l’auto come NXP e Infineon li contraddicono e affermano che sì, la produzione crescerà, ma ci saranno ancora grossi problemi di approvvigionamento.
Intanto l’angelo dell’elettrico Tesla annuncia qualcosa come 10 mila licenziamenti, esuberi sul 10% della forza lavoro. Il suo fondatore, proprietario e CEO Elon Musk ha un bruttissimo presentimento… chissà i suoi dipendenti.