Fed, domani la decisione sui tassi Usa, ecco i temi caldi
pubblicato:Inflazione e lavoro puntano in direzioni diverse. Sembra scontato un taglio di 25 punti base, crescono le pressioni di Trump, ma lo scenario è sempre più complicato

Nel tardo lunedì, negli Stati Uniti, una Corte d’Appello ha confermato il diritto di Lisa Cook di rimanere nel board della Federal Reserve, bocciando il licenziamento chiesto dalla Casa Bianca.
Nelle stesse ore, con una decisione lampo, il Senato a maggioranza repubblicana approvava la nomina per lo stesso board di Stephen Miran, presidente del Consiglio degli Advisor della Casa Bianca, che ha già fatto sapere che non si dimetterà dall’incarico nel governo e ricostruirà quindi un legame diretto tra Governo USA e Banca Centrale che non si vedeva dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, negli Anni Trenta. Miran prende il posto di Adriana Kugler che a sorpresa si è dimessa il mese scorso.
L’ombra lunga della Casa Bianca si proietta così sulla due giorni di incontri di politica monetaria della Federal Reserve cominciata oggi.
Fed, indicazioni e proiezioni da tenere d'occhio
Domani sicuramente il mercato registrerà l’atteso taglio di un quarto di punto percentuale ai tassi d’interesse. Il FedWatch Tool del CME, uno strumento che dai future sui Fed Fund proietta le attese implicite del mercato sulla politica monetaria della Fed, dà al 96% la probabilità di un taglio di 25 punti base dal 4,50% al 4,25%
Oltretutto la Fed in questo incontro dovrà anche aggiornare le proiezioni economiche.
Attualmente vedono all’1,4% la crescita del Pil nel 2025 e all’1,6% quella nel 2026.
L’inflazione PCE è vista ancora al 3,0% e al 2,4% rispettivamente nei due anni e l’inflazione core al 3,1% e al 2,4%.
Nello stesso documento la Fed dovrà presentare il famoso dot plot: il documento che censisce con un puntino le attese dei tassi dei vari membri del FOMC (il direttivo che decide sui tassi) e quindi fornisce in pratica una visione anonima sul loro orientamento per i prossimi meeting.
L’ultima volta la mediana per fine 2025 era nel range tra 3,75% e 4,00%, che implicherebbe altri due tagli entro la fine dell’anno nei tre meeting rimasti, compreso quello in corso.
Per il 2026 la mediana dei dot plot indicava un altro taglio appena.
Domani il discorso del presidente Jerome Powell, che già a Jackson Hole aveva ricaricato i mercati indicando in pratica la necessità di un taglio, potrebbe indicare una prospettiva più espansiva. Sicuramente una maggiore attenzione del normale sarà posta alle eventuali divisioni che potrebbero emergere tra i membri del board sull’approccio di politica monetaria, eventualmente confermate proprio dai dot plot.
Qualche analista non esclude neanche un taglio più deciso di 50 punti base, ma i mercati hanno smorzato molto questa ipotesi nelle ultime sedute.
Fed, ecco perché le prossime decisioni saranno comunque difficili
La decisione della Fed si presenta comunque difficile, anche al netto del carico politico che ha assunto nelle ultime settimane. La Federal Reserve ha infatti un doppio mandato diviso tra stabilità dei prezzi, ossia controllo dell’inflazione, da un lato e piena occupazione, ossia lavoro e crescita economica, dall’altro lato. Raramente i due mandati della Banca centrale americana sono entrati in conflitto come nell’attuale contesto.
Appena giovedì scorso è uscita l’inflazione CPI negli Stati Uniti e ha mostrato ad agosto un’accelerazione dei prezzi dal 2,7% al 2,9%, la maggiore crescita da inizio anno e ben oltre il 2% dell’obiettivo della Fed.
Al contempo l’inflazione core, al netto di volatilità ed energia, si è mantenuta al 3,1%.
Con questi livelli di prezzo sono molti gli economisti che la Fed abbia spazio per manovre soltanto simboliche, perché tagli più decisi e continui rischiano di alimentare prezzi già messi a repentaglio dai dazi e di riportare la stessa Fed al punto di partenza con il rischio poi di dovere risollevare i tassi.
Ma la pressione della Casa Bianca è costante e tenace.
D’altronde il mercato del lavoro, dopo anni da record, invia ripetuti segnali di debolezza e chiama in causa il secondo mandato della Fed. Le buste paga del settore non agricolo USA di agosto (i nonfarm payroll) sono state appena 22 mila contro i 75 mila delle attese e i 79 mila della rilevazione precedente.
Appena pochi giorni dopo la revisione periodica del Bureau of Labor Statistics ha dichiarato che nei 12 mesi fino al marzo 2025 erano stati in realtà creati 911 mila posti del settore non agricolo in meno. Un’altra volta una brutta lettura: anche se gli analisti si aspettavano in media una revisione di 800 mila posti il quadro del mercato del lavoro a stelle e strisce appare in visto indebolimento.
Il tasso di disoccupazione resta basso al 4,3%, ma i nuovi lavori JOLTS di luglio avevano già deluso (7,18 mln, consensus 7,38 mln) e la scorsa settimana le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono state 263 mila contro le 235 mila attese. Il sospetto è che il lavoro sia debole e lo sia da un periodo più lungo del previsto.
Questo regala nuove frecce agli archi di quanti vogliono una politica monetaria espansiva e maggiori tagli dei tassi (compresi i mercati azionari).
Ellen Zentner, capo economista strategica di Morgan Stanley WM, ha semplificato: “Per adesso l’inflazione resta una trama secondaria, il mercato del lavoro è ancora la narrazione principale”.
Blerina Uruci, chief Economist USA di T. Rowe Price, trae qualche conforto da un’analisi più granulare dei dati del mondo del lavoro. Secondo l’analista anche i dati sull’inflazione Usa confermano che il trasferimento dei dazi sui prezzi resta moderato, la composizione più favorevole dell’inflazione PCE più attenzionata dalla CPI dalla Fed dovrebbe inoltre limare un po’ le asperità della dinamica dei prezzi. L’attesa resta su un taglio da un quarto di punto.
Parziale ottimismo anche da Jared Franz, capo economista Usa di Capital Group, che sottolinea l’importanza strutturale del business dell’intelligenza artificiale statunitense per l’intera economia del Paese: nonostante l’impatto concreto dei dazi sulla crescita del Pil che potrebbe scivolare sotto il punto percentuale nella seconda metà del 2025, gli investimenti nell’AI e i suoi potenziali effetti sulla capacità produttiva USA sono tali da lasciare immaginare uno stimolo forte per l’economia Usa nei prossimi anni.
Anche BlackRock nello scenario di base immagina un graduale ritorno alla politica espansiva della Fed: secondo gli analisti del colosso Usa è chiaro che l’inflazione si sta confermando ancora “appiccicosa”, ma non è chiara ancora la natura dell’indebolimento del lavoro.
Potremmo essere di fronte a uno scenario “no hiring, no firing”, un equilibrio dell’incertezza fra le imprese che non assumono e non licenziano. In tal caso una fase espansiva della Fed potrebbe ridare fiducia.
Complessivamente la decisione di un taglio dello 0,25% ai tassi USA da parte della Fed sembra ai più consolidata, ma il riavvio del ciclo monetario espansivo pare assai meno scontato. Anche i segnali di incertezza nel board e le prospettive macroeconomiche che verranno saranno quindi letti con occhio diverso da chi valuta le politiche sul costo del denaro Usa. Wall Street compresa.