Sempre più risiko, da Mediobanca a Generali
pubblicato:Da Unicredit a MPS, da Intesa a Banco BPM, la stagione delle offerte di scambio sul credito italiano si accende sempre di più

Ancora una volta Nagel ha scombinato i piani degli avversari con una mossa inattesa. Di fronte alla pressione storica dei soci Caltagirone e Delfin (azionisti Del Vecchio) e a quella più recente del governo al loro fianco, il manager ha adottato la saggezza del giunco, che si piega alla piena, senza spezzarsi e si salva così da una forza maggiore.
L’offerta di scambio di Mediobanca su Banca Generali ha la virtù immediata di scaricare altrove le mire su Generali, di aprire nuovi percorsi per la messa in sicurezza italiana (necessaria o presunta) del Leone di Trieste. Al punto che alcune indiscrezioni ipotizzano un intervento triestino di CDP, della Banca d'Italia o meno istituzionalmente di Intesa Sanpaolo.
Mediobanca, il piano di Nagel
Le stelle si sono allineate, ha annunciato l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel: con Generali sui massimi poteva dare i suoi titoli in portafoglio ai soci di Banca Generali. Un’offerta da 6,3 miliardi di euro in azioni di Generali capace di cancellare il dominio triestino di Mediobanca costruito da Enrico Cuccia nel 1956.
La Storia della finanza italiana e gli interessi particolari, strategia e tattica.
Il piano sulla carta ha tutto: un premio iniziale dell’11,4%, l’ambizione di masse in gestione per 210 miliardi di euro, l’obiettivo di utili da un miliardo e mezzo in crescita a doppia cifra.
L’ultima mossa a sorpresa di Nagel ha il sigillo del manager che il mercato negli anni ha imparato a riconoscere.
Per esempio, uno scambio carta contro carta evita un’assemblea straordinaria che imporrebbe una decisione con una maggioranza dei due terzi del capitale presente.
I suoi ‘nemici interni’, Delfin con il 19,8% e Caltagirone con il 7,4% di Mediobanca, difficilmente si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione di sfiduciare in quella sede il piano e il manager, ma con l’assemblea ordinaria tutto appare più facile.
Poi c’è la narrativa: la nascita di CheBanca! nel 2008, le acquisizioni di Banca Esperia e del franchise di Barclays Italia nel 2016, la trasformazione di CheBanca! in Premier, il polo del wealth management e l’occasione quindi di accelerare questo sviluppo di parecchi anni con la conquista di Banca Generali, un’operazione già immaginata cinque anni fa, ma ora matura, grazie al riapprezzamento dei titoli di Generali in portafoglio.
Mediobanca, anche a Doris sembra una bella operazione
Credibile, l’approvazione tra gli analisti è diffusa.
Anche Massimo Doris dice che è una “bella operazione” e che se andrà a buon fine la sua Banca Mediolanum intende rimanere azionista (anche se sarebbe socia di un concorrente rilevante).
Parole di peso, perché il gruppo Mediolanum ha un 3,49% di Mediobanca che lo pone alla guida del patto di sindacato storico che vincola l’11,87% di Piazzetta Cuccia e rappresenta il maggiore contraltare al potere di Caltagirone e Delfin nella banca d’investimento di via Filodrammatici.
D’altronde anche il presidente di Delfin, Francesco Milleri, ha riconosciuto il senso industriale dell’operazione: ha il 19,8% di Mediobanca, il 9,9% di MPS e un altro 9,8% di Generali, a questo punto è facile guadagnarci, ma anche perderci.
Da Mediobanca a Generali, un risiko sempre più complicato
Urge un recap.
Unicredit ha lanciato un’offerta pubblica di scambio su Banco BPM e ha rotto le uova nel paniere del governo, che stava lavorando a una fusione della banca milanese con la senese MPS per la creazione del famoso “terzo polo”.
A quel punto a sorpresa, MPS, che come azionisti di riferimento il Ministero dell’Economia, Caltagirone (editore ‘amico’ del Messaggero) e la stessa Delfin ha lanciato un’offerta di scambio su Mediobanca. Una preda più grande e molto diversa da MPS per modello di business.
Per molti, la presenza di Delfin e Caltagirone sia nell’azionariato di MPS, che di Mediobanca, che di Generali portava a dedurne un piano unico diretto a Trieste, la preda grossa, una delle maggiori tre compagnie assicurative d’Europa da anni contesa dalla squadra di Caltagirone a quella dello stesso Nagel. Già perché Mediobanca ha ancora un 13% abbondante di Generali che appunto dagli anni Cinquanta polarizza la finanza italiana.
Una sfilza di eventi si sussegue alla fine di aprile. L’assemblea chiave di Generali per il rinnovo del cda, viene vinta ancora una volta dalla lista di Mediobanca.
A sorpresa la lista di minoranza di Caltagirone e Delfin ottiene anche l’appoggio del 6,59% di Generali accumulato nelle settimane precedenti da Unicredit.
La Banca di Piazza Gae Aulenti è alle prese con una scalata alla tedesca Commerzbank e un’offerta di scambio (in corso) su Banco BPM, ma sembra aver litigato sia con il governo tedesco, che con quello italiano.
Il governo italiano ha appena approvato l’offerta di Unicredit su Banco BPM, ma l’ha sottoposta a condizioni molto stringenti, dall’uscita in 9 mesi dalla Russia, al rapporto impieghi/depositi del 120%, alla stabilità degli investimenti di Anima Holding in titoli italiani.
Nel governo storce il naso Forza Italia e l’opposizione protesta, ma all’assemblea di Generali Unicredit si schiera con Caltagirone e Delfin. In molti pensano che con le condizioni del golden power difficilmente l’ad di Unicredit Andrea Orcel riuscirà a portare a termine la conquista del Banco BPM alle condizioni sperate, ma intanto su Generali si genera un nuovo caso.
L’offerta di MPS su Mediobanca è vista dall’attuale ad della preda Nagel come fumo negli occhi, criticata osteggiata, svalutata, ha intrapreso il suo percorso.
Così la mossa di Mediobanca su Banca Generali sembra un salvagente prezioso: le azioni di Generali saranno cedute e se Caltagirone e Delfin vogliono il Leone, dovranno fare una strada che non passa da Mediobanca.
Inoltre il polo del wealth management di Piazzetta Cuccia è un piano concreto e consolidato, quindi l’operazione sposa gli interessi industriali davvero.
Quando Nagel dice che nascerà un leader italiano nella gestione del risparmio, usa le stesse parole che il governo italiano impiegava per giustificare gli interventi a difesa di Generali.
Di più a questo punto la patata bollente passa a Trieste. Piegati giunco che passa la piena.
Ora il governo dovrà concentrarsi su Generali, che senza il socio di riferimento Mediobanca al 13% potrebbe diventare esposta a incursioni straniere.
Roma ha sempre trattato la cassaforte del risparmio degli italiani come un asset strategico. La questione acquista d’urgenza anche per Generali.
In pratica Mediobanca ha appena messo il ‘suo consiglio di amministrazione’ alla guida della compagnia assicurativa. Ora lo stesso cda deve decidere se vendere al suo elettore quel gioiellino di Banca Generali.
In cambio del 50,17% della banca del wealth management Mediobanca mette i propri titoli della stessa compagnia, così Generali si troverebbe a incassare il 6,5% del proprio capitale e dovrebbe per giunta accettare un lock-up di 12 mesi su quei titoli. Con quel pacchetto, unito al resto delle proprie azioni, potrebbe promuovere operazioni straordinarie importanti, scambiare quote proprie con partner industriali di rilievo, ma il dossier potrebbe anche indebolire la ‘presa italiana’ su Generali. Fra immobili e titoli di Stato italiani è un rischio che difficilmente Roma vorrebbe correre.
Ma il problema immediato è anche tutta la normativa sulla passivity rule (con l'offerta su Banca Generali Mediobanca ha violato le regole che le impongono di non ostacolare l'offerta di MPS?) e quella sul conflitto d'interesse (il cda nominato da Mediobanca, può decidere dell'offerta di quest'ultima?). Un bel ginepraio insomma.
Balza poi in primo piano anche l’equilibrio delicato tra i big del credito italiano. L’avvicinamento di Unicredit a Generali potrebbe non piacere a Intesa Sanpaolo, che finora è rimasta alla finestra, ma in passato ha difeso il Leone.
Il mercato ha letto il sostegno trasversale alla lista di minoranza di Caltagirone (nonostante la sua sconfitta) un alt dei soci all’operazione che maggiormente Caltagirone critica, la fusione del risparmio gestito con la francese Natixis che è presentata (a torto o a ragione) come il pericolo per l’autonomia di gestione del risparmio italiano.
In tal senso l’appoggio alla lista Caltagirone di Unicredit, Benetton (astenuti) e Fondazione CRT è stato visto come un dissenso sull’operazione Natixis.
Incidentalmente si potrebbe notare che a settembre Unicredit ha avviato l’internalizzazione del business vita in Italia abbandonando gli accordi con CNP Assurance e Allianz. Il business bancassicurativo di Unicredit è guidato da un anno da un manager di peso come Alessandro Santoliquido.
Le attività assicurative danni di Unicredit sono invece ancora in comune con Allianz.
Ma forse per comprendere i meccanismi complessi di questo risiko finanziario scatenato occorre guardare anche questi aspetti della partita.