Pirelli, la lunga marcia verso Washington
pubblicato:L'ultima assemblea ha sancito che Sinochem non controlla la Bicocca. Un recente parere USA boccia comunque l'influenza cinese. A rischio il mercato Usa per i cybertyre, anche per via dei dazi. In attesa del dividendo Pirelli resta un titolo caldo, forti rischi e altrettante opportunità

L’azione di Pirelli è diventata sempre più rischiosa nell’ultimo anno. Non tanto per la crisi dell’automotive europeo e giapponese o per la transizione energetica (anche le auto elettriche usano pneumatici), ma per una serie di questioni di politica internazionale che hanno a che fare con una legge Biden attivata in pratica da Trump che minaccia le vendite del gruppo negli Stati Uniti. Anche la separata questione dei dazi comporta dei mal di testa per la casa della Bicocca.
Pirelli, l'azione in vista di obiettivi di prezzo importanti
Eppure il titolo con i massimi di fine maggio a 6,338 euro è tornato su livelli che non si vedevano dal febbraio del 2022 e potrebbe avere tutta l’intenzione di assaltare i 6,73 euro dei massimi del 17 gennaio 2022. Parliamo di un potenziale upside di oltre l’11,7% che oltretutto tecnicamente sembra a portata di mano.
Anche se l’azione è reduce da un rally del 35% dai minimi della tempesta perfetta di aprile e ha lasciato nella rimonta dai minimi di trumpiana natura diversi gap up che potrebbero calamitare i prezzi nel breve, forse eventuali ripiegamenti dei corsi dai livelli attuali potrebbero essere considerati delle opportunità di ingresso. Compatibilmente con l’attenta valutazione del rischio/rendimento ovviamente. Il titolo di Pirelli infatti è nella classica situazione “speculative buy”, ci sono tipici pericoli sul fronte della governance e delle normative di settore, ma potrebbero essere superati trasformandosi in ricche performance.
Pirelli, i cybertyre a rischio nel mercato USA
Per questo cercare di capire è probabilmente la prima cosa da fare. Con approccio cartesiano conviene procedere con calma alla scissione della complessa tematica americana di Pirelli nei suoi elementi chiari e distinti, di modo da fornire all’investitore interessato o al semplice cittadino curioso dei destini di questo pezzo storico dell’industria italiana.
L’aggettivo nazionale si presta al chiarimento del primo argomento:
Pirelli è italiana o cinese?
Non è questione sciovinistica, ma industriale, perché negli Stati Uniti hanno vietato alle società controllate da entità riferibili allo Stato cinese la vendita di prodotti connessi al web, quindi anche potenzialmente dei nuovi pneumatici di Pirelli che hanno delle funzioni di questo tipo.
Si parte con il divieto dal 2027, ma per l’automotive significa da domani e la partita è carica di colpi di scena. Infatti Pirelli ha come primo azionista la Marco Polo International Italy Srl (MPI Italy) controllata dai cinesi di Sinochem, da ChemChina, dallo Stato cinese. MPI Italy ha il 37,015% del capitale e ritiene di avere il controllo del gruppo Pirelli, rivendicandolo negli ultimi mesi a tutti i costi, anche contro gli interessi industriali della stessa società.
Sul dossier è pure intervenuto un DPCM Golden Power del 2023 che ha imposto l’autonomia gestionale del management di Pirelli dall’azionista cinese. Un primo colpo alla presa di Sinochem teso proprio a difendere gli interessi americani della Bicocca.
Negli States infatti Pirelli ha il 20% del fatturato, ma gli Stati Uniti coprono anche da soli il 40% del mercato mondiale degli pneumatici premium, quella fascia di prodotto high value su cui strategicamente Pirelli concentra l’80% dei propri ricavi mondiali. Quindi quel quinto del fatturato Pirelli a stelle e strisce vale qualcosa di più in termini di prospettive.
Come fare a convincere Washington quindi che Pirelli non è cinese?
L’ideale sarebbe se i cinesi vendessero, ma hanno dimostrato di volere difendere il proprio investimento e la propria morsa sulla governance. Un altro punto però è stato segnato dal coté italiano di Pirelli lo scorso aprile, quando il cda di Pirelli ha votato a larga maggioranza con 9 voti su 15 che “a seguito dell’emanazione del DPCM Golden Power, è venuto meno il controllo di MPI Italy (e, per l’effetto, di Sinochem) su Pirelli ai sensi dell’IFRS 10”.
Un altro passaggio decisivo è stato all’assemblea di qualche giorno fa, lo scorso 12 giugno. Subito dopo la decisione del cda di aprile che in pratica smentiva il controllo di Sinochem su Pirelli via cda, ai sensi delle norme contabili dell’IFRS 10, la società cinese aveva rivendicato il controllo sulla Bicocca per via di una presunta “influenza dominante nell’assemblea ordinaria” ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 2 del Codice Civile.
È l’articolo del Codice a cui fa riferimento anche il Testo unico della finanza all’art. 93, quindi è particolarmente rilevante per la quotata Pirelli.
Ma l’assemblea del 12 giugno ha smentito anche questo: quel giorno ha partecipato alla riunione degli azionisti l’86,27% del capitale. Il 57,07% del capitale presente ha approvato tutte le voci, dal bilancio 2024, al dividendo da 25 centesimi (in pagamento il 25 giugno), soltanto il 42,9% dei voti presenti - ossia quel 37,01% del capitale di Pirelli in mano a Sinochem - ha votato contro, senza riuscire a bloccare le delibere. A questo punto Sinochem non può più rivendicare un’influenza dominante sull’assemblea.
Sembra insomma che ai sensi delle norme italiane ed europee, il controllo cinese di Pirelli sia stato smentito.
Basterà a Washington? Purtroppo i segnali non sono positivi. Secondo quanto riportato da Bloomberg a fine maggio, un parere informale negativo, ossia l’opinione che il controllo cinese sussista e i cybertyre di Pirelli possano essere bloccati negli Stati Uniti, sarebbe giunto in una lettera del 25 aprile del BIS, il Bureau of Industry and Security del Dipartimento del commercio Usa. Il braccio di ferro con Sinochem in Italia potrebbe insomma non essere servito.
Pirelli e i dazi
La questione però è ancora più complessa e chiama in causa l’altro grande tema di confronto con l’Amministrazione Trump, quello dei dazi. Su 100 pneumatici che oggi Pirelli vende negli Stati Uniti, 55 vengono dal Messico, un 5% da una fabbrica locale in Georgia e il resto da un mix sostanzialmente di produzioni europee e brasiliane.
Considerando che il 55% messicano è sostanzialmente schermato dagli accordi USMCA, l’accordo di libero scambio nordamericano alla fine siglato da Trump con Canada e Messico, rimane da difendere il resto dell’import e da valutare eventuali investimenti produttivi di lungo periodo anche in solo statunitense, ma a patto di avere delle garanzie sul fronte dei cybertyre ovviamente.
Pirelli in questo scenario ha già predisposto e revisionato un piano di breve e medio periodo che prevede un temporaneo aumento delle scorte, una riduzione ulteriore dei costi già previsti e un adeguamento della politica commerciale anche alla luce delle reazioni dell’inflazione sui mercati Usa.
Un piano “local for local” di lungo periodo coesiste con queste strategie di mitigazione dell’impatto dei dazi nell’immediato, ma – come anticipato – investimenti futuri di lungo periodo nella footprint produttiva statunitense (potrebbero essere in Georgia dove di recente è andato l’ad e un team del gruppo, ma anche altrove) dovranno chiaramente avere come pre-condizione un business climate limpido e sostenibile. In altre parole in futuro Pirelli potrebbe anche produrre più gomme negli Stati Uniti, ma deve avere prima la garanzia di poterle vendere. Anche se il suo primo azionista è cinese.