Europa, i rischi di mercato secondo la BCE
pubblicato:Dai rischi dell'AI a quelli delle stablecoin, dalla geopolitica al dollaro. L'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria della BCE mette a fuoco lo scenario per gli investitori europei nel 2026

Non c’è una bolla dell’intelligenza artificiale come quella del 2000, ma la concentrazione del mercato su un pugno di grandi gruppi tecnologici statunitensi e le valutazioni elevate raggiunte da diversi asset espongono al pericolo di una rapida correzione dei prezzi.
Nuovi rischi sorgono dal fronte delle stablecoin e delle cripto, anche per l’Eurozona, e l’area è minacciata dalle tensioni globali crescenti sulle finanze pubbliche: un riprezzamento del premio al rischio per il debito sovrano, europeo e internazionale, potrebbe avere conseguenze rilevanti.
Come sempre la Financial Stability Review della Banca centrale europea pubblicata nel weekend e accompagnata dalla presentazione e da un’intervista del vicepresidente dell’Eurotower Luis de Guindos è una risorsa importante per gli operatori di mercato perché mette a fuoco i rischi globali e locali per l’Eurozona. Indicazioni preziose in questa fase convulsa di cambiamento ed evoluzione accompagnata da nuove incertezze anche geopolitiche.
BCE, i rischi finanziari dell’AI in Europa
I mercati azionari globali registrano ancora una delle fasi di crescita più rilevanti e prolungate della loro storia. La percezione di minori rischi collegati alle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, la crescita dei risultati di importanti società quotate, l’attesa di nuovi tagli dei tassi d’interesse negli Stati Uniti e la sostenuta narrazione sul potenziale di accrescimento della produttività dovuto all’intelligenza artificiale hanno portato su nuovi record diversi listini azionari globali.
Al tempo stesso la concentrazione del valore, quindi del rischio, in pochi grandi titoli statunitensi ha accresciuto il pericolo che criticità su questo manipolo di asset si traducono in scossoni per tutti i mercati.
C’è una differenza fondamentale con la bolla delle dotcom che negli anni 2000 aveva portato imprese non redditizie su livelli difficili da giustificare: questa volta i big dell’AI a giustificazione delle proprie valutazioni mostrano margini elevati, una forte crescita degli utili, poco debito e un business differenziato anche al di là dell’intelligenza artificiale.
Se però l’intelligenza artificiale non mantenesse nei tempi attesi le promesse sull’aumento della produttività e la redditività dei colossali investimenti effettuati, si potrebbero registrare rapidi deterioramenti dell’outlook di mercato.
Movimenti al ribasso che l’esposizione dei soggetti europei a questi asset rischiosi statunitensi potrebbe trasmettere almeno in parte ai mercati del Vecchio Continente.
Bce, le cripto e il rischio delle stablecoin
Altre e nuove aree di mercato hanno poi attirato l’attenzione degli analisti della BCE. I cripto-asset, quindi non soltanto il Bitcoin o l’Ethereum, hanno approfittato di un crescente interesse degli investitori, anche di quelli tradizionali, ma rimangono altamente volatili.
La capitalizzazione di mercato di tutte le attività cripto ha superato a luglio per la prima volta i 4 mila miliardi di dollari, con l’aiuto dei norme più favorevoli e di un interesse diffuso tra investitori al dettaglio e istituzionali, ma ci sono indizi di una crescente leva speculativa, che potrebbe aver contribuito alla forte correzione di questo ottobre in concomitanza con la crescita delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina.
Da allora la capitalizzazione complessiva del mondo cripto è tornata a 3,3 trilioni di dollari, sui livelli di maggio.
Rischi per la stabilità finanziaria per certi versi particolari derivano dalle cosiddette stablecoin, che hanno superato la capitalizzazione dei 280 miliardi di dollari e coprono quindi circa l’8% del mondo cripto, ma mostrano pericoli specifici anche per la concentrazione nelle cripto come il Tether ($ 184 mld) e l’USD Coin ($ 75 mld). Abbiamo affrontato l’argomento di recente. La BCE torna sul ragionamento già esposto poco tempo fa, pochi numeri possono mettere a fuoco la questione.
Nonostante certa vulgata, il trading sulle cripto è di gran lunga l’impiego maggiore delle stablecoin: circa l’80% delle transazioni mondiali eseguite dalle piattaforme centralizzate di trading in cripto coinvolge delle stablecoin e questo vuole dire anche che queste sono un pilastro del funzionamento dell’ecosistema delle cripto.
Tutto il resto ha ruoli marginali, dai pagamenti transnazionali, alla riserva di valore per economie emergenti, all’uso al dettaglio. Le stablecoin hanno però creato relazioni forti con la finanza tradizionale, le piattaforme delle due super-stable hanno costruito portafogli di titoli di Stato Usa paragonabili a quelli dei maggiori fondi monetari e sono stati di recente tra i massimi acquirenti di Treasury USA a breve termine.
Un terremoto come l’improvviso timore che il Tether o l’USD Coin non possano essere più convertiti alla pari in dollari o una fuga da questi asset potrebbero scatenare il “de-pegging event” ossia la reale decorrelazione tra la stablecoin e il dollaro, con effetti che si potrebbero ripercuotere a questo punto sulla finanza tradizionale per via dei portafogli citati.
BCE, i rischi dalle finanze pubbliche alla geopolitica al dollaro
Ma la BCE valuta anche altri tipi di rischi. Il contesto si è fatto per certi versi assai più imprevedibile negli ultimi anni. Se gli accordi commerciali tra Stati Uniti ed Europa sembrano aver scongiurato gli scenari peggiori, gli impatti dei nuovi dazi non sembrano ancora valutati appieno.
I consumi privati, la spesa pubblica e gli investimenti hanno mitigato le conseguenze peggiori, così come il calo dell’inflazione, ma lo scenario sembra ancora esposto a rischi di escalation commerciale e bellica e questo si riflette anche nei più cauti indici di fiducia come i PMI.
I rischi per la sostenibilità del debito pubblico (compreso quello esterno degli Stati Uniti) e l’evoluzione delle variabili macroeconomiche in qualche caso rimangono elevati e la tensione geopolitica persistente nel caso dell’Ucraina, si riflette anche negli impegni sul nuovo obiettivo di spesa in difesa per la Nato al 5% del Pil entro il 2035. Diversi Paesi dell’Eurozona sono lontani dagli obiettivi, anche se spunti positivi giungono dalla clausola di flessibilità del nuovo Patto di Stabilità e Crescita e dagli attesi finanziamenti del programma SAFE europeo a inizio 2026.
Il rischio di un riprezzamento del rischio sovrano europeo, ossia di vendite sui titoli di Stato europei con conseguente balzo dei rendimenti, già balenato con la crisi francese, non può comunque essere trascurato in una panoramica sui rischi finanziari dell’Eurozona in questa fase.
Il costo ancora elevato del servizio del debito per le imprese pesa in un contesto in cui molte imprese denunciano una minore domanda extra-Ue.
Persiste quindi qualche fragilità su questo fronte.
La fase più dura degli scontri commerciali di aprile con gli State sembra alle spalle e il consolidamento patrimoniale bancario imposto negli anni aiuta, ma se si considera che gli investitori dell’Eurozona controllano attivi statunitensi per l’equivalente di 6 mila miliardi di euro (6 trilioni), si capisce come la linea atlantica sia particolarmente monitorata dopo gli shock degli scorsi mesi.
Il forte deprezzamento del dollaro, che ha aggiunto svantaggi importanti alla manifattura UE e ha mutato il panorama finanziario globale, ne è stato un collegato e ha influenzato anche le altre economie.
Lo scenario rimane quindi parecchio complicato per tutti.
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