Manovra, Confindustria chiede di più al governo

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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La nuova manovra da 16 miliardi sta stretta agli industriali, che chiedono 8 miliardi l'anno di incentivi per tre anni dopo le difficoltà della 5.0, ma dicono anche qualche sì (alla ZES e a nuovi interventi sul costo dell'energia per esempio). Ecco il quadro. Confommercio approva gli interventi sull'Irpef ma avrebbe gradito una platea ancor più ampia

Manovra, Confindustria chiede di più al governo
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Non è proprio un party l’accoglienza datoriale della nuova manovra di bilancio dello Stato Italiano per il prossimo anno. Quei 16 miliardi di euro, la cifra minore dal 2014, sembrano pochi per quantità e per qualità in questo momento storico di evoluzione dell’economia europea e nazionale alla ricerca disperata di ricette per salvare competitività e innovazione che sembrano rimaste indietro nel Vecchio Continente.

Manovra, l'approccio prudente funziona, ma Confindustria chiede di più

Piace la conferma di un approccio prudente ai conti pubblici, la riduzione del deficit/Pil atteso nel 2025 al 3,0% dal 3,4% previsto soltanto lo scorso aprile e quindi la disposizione dei conti a un rientro dalla procedura per eccesso di deficit. Ma va anche detto che il rapporto debito/Pil nelle previsioni del Tesoro crescerà l'anno prossimo dal 136,2% visto a fine 2025 al 137,4% (meno però del 137,9% tendenziale), per arrivare solo nel 2028 al 136,4%.

Nessuno mette in dubbio che il consolidamento dei conti pubblici e il ritorno all’avanzo primario del bilancio pubblico italiano abbiano permesso l’abbassamento dei tassi d’interesse pagati sul debito pubblico e abbiano difeso i nostri mercati dagli effetti più deteriori di un contesto sfidante, ma l’industria italiana ha bisogno di qualcosa di più che, prima che dalle parole dei suoi rappresentanti anche ieri a ridosso dell’invio domani del Documento Programmatico di Bilancio a Bruxelles, viene anche dalla semplice consultazione del dato sulla produzione industriale italiana, storicamente uno degli indicatori macroeconomici più rilevanti per la comprensione dell’economia italiana che è anche la seconda manifattura europea. L’ultimo dato di agosto è terribile, un -2,7% in termini tendenziali che cancella i timidi spunti di recupero pur vistisi quest’anno.

Ma è stato necessario chiederlo ufficialmente: “Da gennaio terminano tutti gli incentivi e l'industria italiana è nuda, senza strumenti per competere in uno scenario dominato da incertezza, dazi e rischio delocalizzazione. Siamo a rischio stagnazione – ha denunciato il vicepresidente di Confindustria Angelo Camilli. “Servono otto miliardi l'anno per non fermarsi", ha aggiunto il numero due di Viale dell’Astronomia. In realtà la debolezza pervicace della produzione e della domanda dell’automotive e le forti difficoltà di Industria 5.0 sono solo due degli esempi che si potrebbero fare di un’emergenza che sta diventando strutturale.  

Su entrambi i dossier in realtà si registrano novità.

Sul fronte automotive a settembre, il mercato automobilistico italiano ha registrato una crescita del 4,07% che alleggerisce il saldo negativo dell’year-to-date mentre Stellantis ha fatto un balzo a doppia cifra delle vendite che non si vedeva da tempo e potrebbe forse anticipare un ritorno sulla produzione che non sia con gli stop o la cassa integrazione.

Sul fronte industria 5.0, proprio oggi Il Sole 24 Ore riporta che sui 6,23 miliardi a disposizione del provvedimento, ne risultano prenotati 2,2 miliardi (dati GSE) con un colpo di coda forse dovuto anche alle FAQ di aggiornamento di aprile che in parte hanno semplificato l’interpretazione di un provvedimento a più riprese accusato di bizantinismo.

Con la stima finale a 3 miliardi, meno della metà delle risorse, secondo il quotidiano di Confindustria il 5.0 si avvia alla fine forse per un ritorno a iperammortamenti e maxi-ammortamenti dell’Industria 4.0 che invece aveva riscosso generale approvazione. In realtà di certo non c’è nulla, perché, aggiunge Il Sole 24 Ore, servirebbero 5 miliardi di euro per l’orizzonte pluriennale di questo nuovo assetto degli incentivi industriali, ma il MIMIT di Adolfo Urso non avrebbe ottenuto ancora il via libera del MEF di Giancarlo Giorgetti. Bisogna verificare insomma le coperture e un aiuto verrà senza dubbio dalle banche: l’ABI, l’Associazione delle Banche Italiane ha approvato ieri il contributo degli istituti, ma non ne sono ancora noti ammontare e modalità, al punto che le stime variano dai 3 ai 5 miliardi di euro. Anche se la ricostruzione più dettagliata stamane pare quella del Giornale che stima un incasso da 2,8 miliardi.

Di certo Confindustria – in maniera del tutto irrituale – ha accostato alla richiesta di sostegno degli investimenti in innovazione e competitività delle PMI delle cifre: vuole un piano triennale di 8 miliardi di euro l’anno a sostegno delle piccole e medie imprese, una cifra importante a fronte di un contesto straordinario di cui, tra dazi Usa, tecnologia AI statunitense, competizione cinese, incertezze geopolitiche, bisognerà tenere conto.

Il puzzle insomma è in fase di composizione anche se nei mesi scorsi sono emerse diverse altre indicazioni che confermando o smentendo gli approcci e le misure degli anni passati permettono comunque di fare un’identikit, ancorché parziale, della nuova manovra finanziaria.

Manovra, avanti su taglio dell'Irpef e ZES, ma l'energia rischia di restare indietro

E’ certo che ancora una volta il taglio delle tasse per il ceto medio, e in particolare dell’Irpef, sarà uno dei capisaldi delle misure economiche del governo. E’ una misura condivisa, ma c’è anche chi vorrebbe di più dell’estensione dell’aliquota del 33% ai redditi fino a 50 mila euro: Confcommercio vorrebbe arrivare ai 60 mila euro per rilanciare i consumi.

Sembra un successo anche la ZES, la Zona Economica Speciale che a fronte di risorse per 4,8 miliardi di euro, avrebbe generato 28 miliardi di euro di investimenti e ben 35 mila posti di lavoro. Confindustria insomma l’approva, ma al contempo ritorna sul tema caldo del contrasto del caro-bollette che affligge non soltanto le famiglie, ma anche le imprese, energivore e non, che devono competere su scala globale con un costo italiano dell’energia che probabilmente, dopo la questione demografica, è la seconda emergenza economica del Bel Paese. Rimane un problema caldo, nonostante il Decreto Legge Bollette di fine febbraio abbia stanziato circa 3 miliardi di euro, di cui 1,6 mld per le famiglie e 1,4 miliardi per le imprese.

Confindustria ha ribadito che agire su questo fronte è essenziale, ma sembra chiaro che ci vorrà del tempo. Le soluzioni possibili vanno dai successi esplorativi e dagli accordi dell’Eni (come quello recente in Argentina su Vaca Muerta) che si possono tradurre in approvvigionamenti energetici e forniture meno onerosi per le imprese italiane, agli interventi governativi su crediti di imposta agli energivori e parziale azzeramento degli oneri di sistema, dalle aste di capacità di accumulo di Terna ai contratti di acquisto di lungo termine PPA, sulla strada di quel disaccoppiamento tra prezzi del gas e dell’energia elettrica che è possibile, ma non è né facile né immediato.

Tutte cose che richiedono una politica industriale più calibrata a questo governo, qualcosa di più di un golden power sulle banche, di un contributo degli istituti o di uno scorporo della rete fissa da Telecom Italia, tutte cose che richiedono un piano di lungo periodo e qualche no. Forse aiuterebbe anche ottenere qualcosa di più di quella crescita del Pil dallo 0,5% allo 0,9% che il governo prevede gradualmente dal 2025 al 2028.